In questi minuti giunge la notizia in città che un operaio dell’Ilva, Giuseppe Raho, di 34 anni, ha subito ustioni di primo grado in seguito allo scoppio delle scorie incandescenti di un contenitore denominato “paiola”, all’interno del reparto Grf (Gestione recupero ferro), uno di quelli sottoposti a sequestro dalla magistratura. Fatti ahimè consueti da tanto tempo a questa parte. Altri vi daranno meglio conto della cosa, noi abbiamo da raccontarvi altro, per una volta immaginando una qualche speranza reale di cambiamento.
Nel consueto clima emergenziale che contraddistingue ogni barlume di cambiamento, in questo paese ammalato di status quo, il Senato vara oggi il famoso decreto ILVA, che con l'ILVA ha poco ha che vedere.
La Londra del grande Hogarth è più vicina di quanto si pensi |
Le risorse sono concentrate sul porto, su alcune infrastrutture e la bonifica (ma io la chiamerei riqualificazione) delle zone più martoriate da 50 anni di produzione selvaggia, oggi veri e propri slums, quasi al livello delle scene predilette da Hogarth alla fine del 1700.
Scrive ANSA che
119 milioni vanno alle bonifiche, 187 milioni per interventi portuali, e 30 milioni per il rilancio industriale per investimenti produttivi caratterizzati da un elevato livello tecnologico
Certo ciò non è un male, poichè contribuisce a migliorare uno stato di cose insopportabile, andando in qualche modo incontro alle necessità di diversificazione economica di un territorio schiacciato e ricattato dalla monocultura dell'acciaio. Settore oggi in grave crisi, di cui già parlammo e vi daremo prossimamente ulteriori riprove.
Ma non affronta minimamente la tematica sul campo, ovvero la pericolosità degli stabilimenti nel loro esercizio quotidiano. In più riutilizza fondi già stanziati nei mesi precedenti e poco ci rassicura la prossemica del ministro Passera, già da noi stigmatizzata, che parlò della cosa proprio qui in città, più di un mese fa.
L'infedele ai Tamburi, LA 7 (foto Corporeuscorpora) |
Questo detto, c'è in positivo da registrare il risveglio da un sonno cinquantennale di quella parte di Taranto sempre più che sorda alle esigenze della comunità e di chi pativa maggiormente, poichè lavoratore o residente nei quartieri popolari (Tamburi, Croce, Paolo VI, Città Vecchia), le conseguenze dell'inquinamento e del potere contrattuale made in ILVA.
Cosa fece tacere tanto a lungo la media ed alta borghesia locale, quantomeno alfabetizzata?
La pigrizia? l'ignoranza? Il salvaguardare i proprio redditi, ricavati in qualità di servizi (legali, medici, di ragioneria, di forniture), dai redditi dei dipendenti ed indotto ILVA? L'acquiescenza al cosiddetto metodo Archinà (ovvero fare lobby e mazzettare nel caso) ? Ai posteri l'ardua sentenza.
Oggi ci importa menzionare tre casi, uno risalente a quest'estate, due recentissimi (2 ottobre 2012).
Il primo si sostanzia nell'assemblea, coordinata dall'avvocato Lelio Miro, presidente della Banca di Taranto, che in agosto presso il cinema Orfeo ha riunito una parte importante della politica e della Taranto bene, riuscendo a produrre una dichiarazione collettiva di ostilità ai metodi ILVA, in difesa della dignità e della qualità della vita.
Il secondo, presente ieri sulla stampa locale, è finalmente di ambito medico, il settore da cui più nel corso degli anni ci si sarebbe aspettati una battaglia che invece, tranne pochissimi casi, non vi è stata affatto: la commissione ambiente dell'ordine ha affermato a chiare lettere che non vi è dubbio, alla luce delle perizie presentate da procura e GIP, nonchè degli studi Sentieri sino al 2008 e del saggio pubblicato sulla rivista "Epidemiologia e prevenzione" (a cura di Mataloni, Biggeri, Forastiere, Triassi), documenti tutti visionati e sottoposti a "revisione critica", che la situazione ambientale e sanitaria di Taranto sia grave.
Infine, per il sabato prossimo venturo l'ARPA Puglia insieme al circolo di LEGAMBIENTE terranno un seminario dal titolo eloquente: "di cosa parliamo quando parliamo di ILVA", con lo scopo di divulgare nozioni tecniche ed economiche relative al ciclo continuo dell'acciaio.
Un approccio informativo negato per decenni alla popolazione, che pure viveva e moriva di siderurgia.
Piccoli segni che mostrano una volontà, o forse una necessità di cambiamento, che induce a qualche minima speranza.
Dal Taranto(buona)sera del 2 Ottobre 2012 |
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