martedì 3 luglio 2012

Morti sul lavoro: una costante sistemica. Ecco qualche perchè.

Possiamo dire quel che vogliamo, esistono lavori pericolosi e meno pericolosi. Qualsiasi attività umana, talvolta persino l'inazione, come nel caso dei terremoti, comporta dei rischi. Che inevitabilmente aumentano se si svolgono professioni che comportino altezze, l'uso necessario di agenti chimici, di macchinari pesanti o affilati. E via dicendo.
Banalità, certo. Ritenere che le morti sul lavoro possano azzerarsi grazie a controlli, tecnologie, informazione e prevenzione è assurdo. Il fato esiste e le distrazioni umane, causate dai motivi più disparati, sono sempre dietro l'angolo. Di casa nostra.
Eppure i 310 morti sul lavoro, contati sinora nel 2012 in Italia (cifre non ufficiali), sono tanti. Forse troppi.
Nel 2011 ci sono stati più di 1170 morti, di cui 663 sui luoghi di lavoro: + 11,6% sul 2010 (dati dell'OSSERVATORIO INDIPENDENTE DI BOLOGNA, così come le mappe mostrate, che riportano il numero dei decessi città per città).
Ma nel 2011 si è lavorato molto molto meno, soprattutto in edilizia, da sempre tallone d'achille, insieme all'agricoltura. Nel 2012 certamente meno che nel 2011.
Un dato preso così... calano le ore di lavoro, di ben il 30% in un anno, dal 2010 al 2011, nella sola provincia di Roma. Che significa quindi quel che leggiamo?
Un altro indizio... in Inghilterra, con un certo margine di errore, nel 2011 le morti sul lavoro sono state 171 (se volete approfondire la cosa partite da qui) .
SEI VOLTE IN MENO CHE IN ITALIA.
E allora che accade? Stesso continente, stessa popolazione. Certo, l'Inghilterra è più centrata sui servizi, attività meno rischiose per definizione... sul lavoro intellettuale, anche. D'impresa in senso contemporaneo, spesso immateriale. Probabilmente i controlli sono più efficienti che da noi, la corruzione incide in modo ben inferiore, secondo l'OCSE. Per carità, a noi un Commonwealth non ce lo dà nessuno e la Libia è già un miraggio svanito nel deserto, in un mare di sangue.
Ma abbiamo grandi colpe e c'è altro. C'è che, appunto, noi continuiamo a fare tanta manifattura. O almeno ci proviamo. Ed anche edilizia. Ma abbiamo concorrenti molto più numerosi e forti che in passato. Capaci di spiazzarci con le loro produzioni di massa a costo bassissimo. Produzioni di cui noi stessi abbiamo elevato il livello qualitativo, con le cospicue delocalizzazioni operate negli anni '90 e 2000.
Per continuare a manterere quote di mercato nel manifatturiero siamo costretti a inseguire cinesi, indiani, turchi. Per avere qualche (misera) possibilità di vendere ancora appartamenti, o immobili commerciali, dobbiamo utilizzare manodopera non italiana, scarsamente scolarizzata, macchinari obsoleti, contenere ogni spesa non indispensabile.
Di conseguenza le misure di sicurezza sono necessariamente inferiori al necessario e peraltro se ne presuppone l'applicazione da parte di personale non formato e spesso non formabile.
Tutto ciò segue una logica stringente che si avvita su sè stessa e non può invertire il suo ciclo se non con la crescita del sistema paese: è il sistema paese che deve sottrarsi a questo gioco al ribasso, da cui le vite dei medesimi abitanti/lavoratori sono sempre più minacciate.
E può farlo solo mediante l'acquisizione di SAPERI, TECNICHE, ABITUDINI sufficienti ad elevare l'offerta italiana nel mondo e sul mercato interno, ridonandole quell'unicità, o almeno superiorità tecnica ed estetica, su cui abbiamo costruito i boom dal '50 al '70.
Il che significa quantomeno:
  • scuole primarie e secondarie efficienti; 
  • istituti professionali up to date;
  • botteghe e aziende capaci di accogliere e perfezionare;
  • uno stato che favorisca la libera impresa e la ricerca controllando la pressione fiscale;
  • un sistema bancario che finanzi le idee e le potenzialità;
  • sindacati che non ingessino la concorrenza, i privilegi, la meritocrazia... 
 ... ma in teoria anche diffusione molto maggiore delle lingue straniere, fine del posto fisso di stato, biblioteche e videoteche in ogni comune, stimolo alla conoscenza scientifica ed alla conoscenza tout cour e via discorrendo. Al momento è ben difficile intravedere luce, le condizioni succitate sono agli antipodi di quel che abbiamo. Nokia non è italiana, Ikea non è italiana, Apple non è italiana. Saunier Duval non è italiana. Anzi, la FIAT scappa e Pininfarina, ahimè, non è più con noi.  Tutto ciò non avviene per caso, qui il Fato non c'entra davvero.
Avviene anzi deliberatamente, miope calcolo per il beneficio di alcuni. Ma non è argomento che si possa affrontare qui, ora.
Già iniziare a comprendere come i nodi siano venuti tutti al pettine perchè è il pettine ad essere il vero problema, da cui tutto sgorga  come da fontana malefica, è un passo avanti che questo blog si ripromette di incoraggiare a compiere.

2 commenti:

  1. interesante, ma da dove arrivano queste mappe ?

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  2. Dalla Luna. Direttamente. Senza passare dal via.
    Arrivano, come indicato nel testo, dall'OSSERVATORIO INDIPENDENTE DI BOLOGNA PER LE MORTI SUL LAVORO. Alcune di esse sono pubblicate anche dal Corriere della Sera online.
    Grazie per l'attenzione.

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