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lunedì 16 luglio 2012

"L’Italia è un paese povero pieno di gente ricca", sinora, di beni. Ma senza libertà

  o si comanda o si obbedisce (in genere la seconda)

 

L'Italiano di ieri è forse simile al Paperone di Barks?
Forte è in questi anni il dibattito sullo stato etico, che tutte le democrazie continentali occidentali conoscono molto bene. Un pò meno forte da noi, che lo viviamo sulla pelle. Parliamone.
Storicamente, nella modernità, esso è il portato naturale dell’idea di stato così come fuoriesce dalle pagine Hegeliane.
Entità sovraindividuale, fonte del diritto, superiore ad ogni altra autorità; avente il potere, anzi il dovere, di premettere all’interesse del cittadino quello dello stato. E’evidente che entro certi limiti, e se si intende per stato la collettività, posto che qualcuno riesca a definirla, il discorso fila. Del resto, la politica non è altro se non ricerca asintotica di contemperazione ed equilibrio tra gli opposti interessi dei consociati. Una volta attribuito alla totalità della popolazione maggiorenne il potere di decidere delle sorti della nazione tramite la democrazia rappresentativa, il problema della fonte del potere politico non dovrebbe sorgere. Se non a livello pratico, ovverosia della effettività (parola cara a Kelsen) dell’esercizio di tale potestà. Che, ad esempio, potrebbe essere inficiata dalla eccessiva povertà di alcune zone o dal loro isolamento culturale. O, anche, da un diffuso astensionismo. O da un'informazione integralmente asservita agli interessi del potere (mal) costituito. Ma questa è altra questione. Facciamo un passo indietro.
Entro quali ambiti si deve svolgere la necessaria attività dello stato, chiamato a permettere ed a vietare? Questo è il vero busillis. L’ipertrofia degli stati figli dell’idealismo è stata pagata a caro prezzo in economia. Una cosa è il ruolo, a volte effettivamente indispensabile, dello stato o delle sue emanazioni dirette -vedi IRI- laddove la spinta imprenditoriale privata è assente.
Anche il bisogno di tenere sott’occhio servizi di pubblica utilità giustifica partecipazioni, dall’energia alla sanità. Ma entro limiti ben precisi. E fintanto che si dimostra utile e funzionale.
Le mani dello stato, da noi gracile burattino in mano ai partiti ed alla Chiesa, su ogni attività che abbia rilevanza economica è ben altra cosa. Ed ha ben altri effetti. Segnatamente la creazione di una burocrazia arcigna, lo sviluppo del clientelismo, la morte della concorrenza che poi è quella cosa che tiene i prezzi bassi e fa aumentare la qualità dell’offerta.
Lo stato imprenditore, spesso pessimo anche perché spogliato dai suoi stessi cittadini (tanto da far dire ad un diplomatico anglosassone che “ l’Italia è un paese povero pieno di gente ricca”), per far fronte alla sua straripante attività di impresa “a perdere” è stato costretto ad imporre, per un verso, tasse da espropriazione, che deprimono lo sviluppo perché distruggono la molla del guadagno; per l’altro a proporre i suoi titoli- BOT, CCT, BTP ecc.- a corsi vantaggiosissimi per gli investitori.
Allo stesso modo ha preso in prestito capitali da tutto il mondo, scommettendo con cinismo millenario sulla geopolitica della guerra fredda, privandosi di ogni paracadute in caso di crisi sistemica (vedasi oggi). E Il denaro è fluito verso le casse dello stato, disertando a lungo le borse, ovvero la fonte principe di finanziamento per la libera imprenditoria, costretta una volta di più a batter cassa alla banche. E, quindi, di nuovo allo stato, che di tante banche è stato aperto, od occulto, azionista. Alterando pertanto la concorrenza libera che i privati ponevano in campo. In quanto per i non “amici degli amici” il credito diveniva quasi impossibile, per gli altri invece si usavano le risorse “di stato”, reperite come appena ricordato e spese con allegria.
Il deficit di autonomia per i cittadini non si limita ovviemente a questo profilo. Anzi i profili sono tra loro interconnessi, per cui la libertà di pensiero e di scelta etica riverbera sull’economia e viceversa:
Ci vorrebbero far credere che senza Stato etico...
Uno stato invasivo di tutti i plessi economici diviene nemico dei suoi stessi cittadini, poiché innesca un meccanismo perverso di disservizio, depressione e controllo. L’invadenza etica dello stato, anch’essa largamente presente in Italia, nè è sorella, con tutte le controindicazioni, non solo morali ma anche economiche, che proverò a riassumere.